Chi l’ha visto? Il mistero dell’autore irreperibile
È una dolenza comune, nell’epoca di iper-connessione in cui viviamo, che i nostri dati di contatto siano facilmente reperibili da seccatori o malintenzionati di ogni genere, per quanto ci sforziamo di tutelarne la riservatezza. Salvo appartenere ai servizi segreti, trovarsi sotto copertura (e talvolta neanche questo basta) o in altre situazioni estreme, è praticamente impossibile non essere rintracciati. A maggior ragione se per facilitare i contatti professionali ci dotiamo di un sito internet, un blog, profili social, ecc.
In caso di inusitate difficoltà a reperire un traduttore, un illustratore, uno scrittore, un grafico, ci si può anche rivolgere agli editori con cui collabora. Esistono poi le associazioni di categoria, che spesso mettono a disposizione annuari dei soci online. In conclusione, i casi in cui è davvero arduo trovare un autore sono limitatissimi e, se è ancora in attività, praticamente nulli.
Come mai allora certi editori (sempre gli stessi) riscontrano tante difficoltà a rintracciare gli autori quando devono contattarli per regolare i diritti?
I libri che pubblicano si aprono spesso con una scritta del genere:
“Dopo un’attenta ricerca con esito negativo, l’editore è a disposizione degli eventuali aventi diritto in riferimento alla traduzione utilizzata”.
“L’editore è a disposizione del proprietario dei diritti sulla foto di copertina, che non è stato possibile rintracciare per chiedere la debita autorizzazione”.
“Dopo infruttuose ricerche, l’editore è a disposizione dei titolari delle immagini utilizzate per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti”.
“L’editore, dopo aver espletato le procedure necessarie, è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda le poesie di Anna Bianchi».
Anna Bianchi è un nome inventato ma tanti autori si vedono pubblicare i loro testi da un editore che, invece di contattarli per ottenere i diritti, usa questa frase di prammatica. Dove sta l’attenta ricerca, quali sono le procedure seguite, riconosciute come “necessarie” dall’editore stesso, se questi non riesce a trovare una persona che altri rintracciano senza difficoltà? Cosa c’è dietro questa dichiarata incapacità?
È noto che un editore, per usare il lavoro di un autore, deve concordarne con quest’ultimo condizioni e compenso. Se non lo fa la pubblicazione è illecita. Può essere legittimata con l’asserita impossibilità di contattare l’autore? In linea di diritto certamente no.
Per legge, tutti i diritti di utilizzazione di un’opera appartengono al suo autore e chi desideri utilizzarli deve ottenerli da quest’ultimo in licenza o cessione, licenza o cessione che vanno provate per iscritto. Per le opere letterarie, le parti stipulano un contratto di edizione con cui l’autore (scrittore, traduttore, illustratore…) concede all’editore la facoltà di utilizzare i diritti indicati per il numero di edizioni o il periodo di tempo concordati nel contratto. Prima dell’eventuale cessione, e dopo la scadenza della stessa, tutti i diritti esclusivi sono e tornano dell’autore.
Perché allora tante opere vengono pubblicate irregolarmente, col “salvacondotto” delle scritte sopra menzionate? Perché, in caso di contestazione legale, se l’irregolarità della pubblicazione non cambia, a seconda delle circostanze possono cambiare le conseguenze per il responsabile. In alcuni casi dietro la condotta dell’editore potrebbe infatti ravvisarsi una sorta di “stato di necessità”. L’editore, cioè, potrebbe realmente trovarsi nell’impossibilità di contattare l’autore ma ritenere importante pubblicare o mantenere in commercio l’opera (importanza che, naturalmente, non può identificarsi con l’impellenza di realizzare un lucro ma deve rispondere all’esigenza di difendere interessi, individuali o collettivi, prioritari).
Il problema potrebbe porsi per autori che vivano in condizioni di particolare isolamento o abbiano gravi problemi di salute, muoiano senza eredi o i cui eredi siano difficili da individuare. In tal caso l’editore può valutare opportuno mantenere in circolazione l’opera, rendendosi disponibile a sanare la situazione con gli aventi diritto non appena possibile.
Potrebbe darsi anche il caso di opere composte, realizzate col contributo di più autori, per esempio la traduzione illustrata di un’opera straniera cui hanno concorso lo scrittore originario, il traduttore e l’illustratore. Mettiamo che, scaduto il contratto stipulato con l’illustratore, l’editore non riesca più a mettersi in contatto con lui per rinnovarlo e, tuttavia, non voglia rinunciare ai disegni, diventati ormai parte integrante dell’opera. Nell’impossibilità di reperire l’illustratore, tenendo conto anche degli interessi dello scrittore, del traduttore e dei lettori, piuttosto che ripubblicare l’opera senza illustrazioni o ritirarla dal mercato l’editore potrebbe decidere di mantenerla in commercio, differendoil raggiungimento di un accordo con l’illustratore.
Alcuni autori possono essere irraggiungibili perché perseguitati per motivi politici o religiosi o costretti, per ragioni diverse, a vivere sotto copertura o a pubblicare opere in forma anonima o sotto pseudonimo.
Come vediamo si tratta di casi rari, che non spiegano l’uso sistematico della formula esaminata. Questa, infatti, può essere giustificata solo se ricorrono tutte le seguenti circostanze:
- l’editore deve aver effettuato (in modo dimostrabile) ricerche approfondite per rintracciare l’autore;
- la pubblicazione dell’opera dev’essere finalizzata a tutelare interessi primari dell’autore o della collettività;
- nel caso in cui, successivamente, venga contattato dall’autore, l’editore deve accettare le condizioni poste da quest’ultimo per continuare a utilizzare l’opera o cessare ogni sfruttamento.
Nella realtà, invece, più un editore ricorre a tale formula meno soddisfa le precedenti condizioni. Ma da quali motivi nasce questo abuso e come viene perpetrato? Le casistiche sono diverse; qui vedremo quelle più frequentemente riscontrate per le traduzioni (ma applicabili a opere di vario genere).
A volte la frase è inserita dallo stesso editore con cui il traduttore, in passato, aveva firmato un contratto. La cessione dei diritti nei contratti di edizione è a termine, trascorso il quale tornano al traduttore. Se l’editore vuole continuare a usare l’opera deve stipulare un nuovo contratto, versando al traduttore un nuovo compenso. Gli editori seri lo fanno, altri cercano degli escamotage per continuare a vendere oltre i limiti contrattuali. Talvolta si preparano la strada inserendo, già nel primo contratto, una clausola del genere:
“Il traduttore comunicherà, almeno sei mesi prima della scadenza del contratto, il proprio recapito o quello di persona che lo rappresenti. In mancanza di ciò, la casa editrice sarà autorizzata a continuare la stampa, onde non interrompere la pubblicazione dell’opera”.
Giuridicamente, questa clausola è poco difendibile in quanto pretenderebbe di vincolare a un onere a carico del traduttore (o dei suoi eredi) l’esclusività dei diritti che la legge gli riconosce sull’opera creata (opera che resta sua, anche se la concede in uso all’editore per il periodo contrattuale). L’editore, se vuole rinnovare la concessione dei diritti, ha il dovere di farsi parte diligente e raggiungere un accordo col traduttore; non può certo adottare un aberrante principio di “silenzio-assenso” rispetto allo sfruttamento della traduzione. Né il fine di “non interrompere la pubblicazione” può giustificare la violazione dei diritti d’autore. Nonostante ciò alcuni editori, forti della clausola vessatoria, si “dimenticano” della scadenza del contratto, incassando indebitamente i profitti generati dal lavoro del traduttore senza neanche provare a contattarlo.
A tal proposito il tribunale di Milano, pronunciandosi sul caso della traduzione di un classico francese, ha stabilito che la clausola secondo cui “l’editore è autorizzato a continuare la stampa” anche al di là della scadenza del contratto quando l’autore non gli comunichi il proprio eventuale cambiamento di indirizzo non è applicabile laddove l’editore non abbia alcuna difficoltà nell’identificare il nuovo recapito dell’autore [1].
A volte a fare un uso indebito della traduzione non è l’editore che originariamente l’aveva pubblicata, bensì un altro. Questo secondo editore, se abbastanza certo di poterla fare franca, può disdegnare anche la formuletta autoassolutoria e decidere, semplicemente, di plagiare la traduzione. A tal fine la ritocca qua e là, nel tentativo di camuffarla, e la pubblica col nome di un traduttore inventato o di qualcuno di sua conoscenza, interno o esterno alla casa editrice, a volte complice, altre volte vittima (quando il plagio viene spacciato per una legittima attività di “revisione” o “aggiornamento” di una traduzione).
Se non se la sente di rischiare un processo per plagio, l’editore può stimare più prudente dichiarare di aver cercato invano il traduttore, mitigando così le possibili conseguenze.
Il nostro editore dunque, che abbia perso i diritti o non li abbia mai avuti, procede alla stampa apponendo l’agevole formuletta e sperando che il traduttore, dopo tanto tempo (i contratti di edizione possono durare fino a 20 anni), si sia “dimenticato” o non sia in condizioni di controllare l’uso che viene fatto delle sue opere. Se invece il traduttore lo scopre e gliene chiede conto, spesso l’editore prova a sanare la situazione offrendogli una cifra ridicola e costringendolo, se non fosse d’accordo, ad adire le vie legali. Naturalmente spera che la prospettiva di imbarcarsi in un processo e di dover anticipare le spese faccia desistere il traduttore, spingendolo ad accettare la miseria proposta. Anche se il gioco non sempre riesce, questo tipo di editore ritiene che, a conti fatti, tale sistema di gestione del catalogo sia il più conveniente.
Ecco spiegata la grande fortuna che la formula-salvacondotto riscuote presso quegli editori che basano la propria attività sullo sfruttamento di diritti d’autore che non gli appartengono e che fanno una concorrenza sleale ad altri editori che, al contrario, remunerano correttamente i propri autori. La frasetta autoassolutoria si ritrova, aprendo i libri da loro pubblicati, con sconcertante regolarità. Diventa quasi il loro secondo marchio, un marchio di infamia. Tuttavia ha pure una funzione utile: consente a chi crede nel consumo responsabile anche in ambito editoriale di valutare meglio i libri da acquistare.
Prestiamo attenzione quando, sfogliando un volume, ci imbattiamo nella fatidica frase: l’uso eccezionale può essere giustificato, l’uso ripetuto no. E, quando la troviamo, possiamo divertirci a fare un esperimento, una “sessione investigativa” su internet alla ricerca dell’autore. Se riusciamo a rintracciarlo già con questa semplice ricerca vuol dire che è stato defraudato dei suoi diritti (e sarà bene avvertirlo). Non sono pochi i casi in cui ciò si verifica: provare per credere.
Strade – Inviata speciale CNF
[1] Trib. Milano, Sezione IP, 28 febbraio 2011, Pres. Est. Tavassi, Fausta Garavini c. Adelphi Edizioni s.p.a., Aida 2011, Repertorio I.19.