Appello Strade-Serianni sulle norme redazionali
Roma, 30 settembre 2021
Strade e Luca Serianni, professore emerito di Storia della lingua italiana, si rivolgono alle case editrici chiedendo una riforma condivisa delle norme redazionali.
Nel pieno rispetto delle identità dei singoli marchi, alcuni accorgimenti sarebbero preziosi per agevolare l’esperienza della lettura, e non solo: una maggiore linearità e coerenza nelle convenzioni ortografiche e redazionali adottate dall’editoria di lingua italiana andrebbe a tutto vantaggio di chi legge e di chi scrive, di chi traduce e di chi revisiona, di chi impara e di chi insegna. Le numerose differenze nei criteri adottati dalle case editrici rischiano infatti di creare confusione là dove ci sarebbe bisogno di uniformità, fermo restando l’obiettivo comune di continuare a offrire testi che siano «il più possibile chiari, completi, accurati e facili da consultare» (Roberto Lesina, Il nuovo manuale di stile, Zanichelli, Bologna 2009, p. 14).
Ecco alcuni esempi con le relative proposte.
- L’adozione generalizzata del sistema accentuativo à, ì, ù, é, è, ó, ò (cfr. Luca Serianni, Grammatica italiana, Utet, Torino 1989, I.179, p. 58).
- Il ricorso alla forma accentata di ‘sé’ anche quando è seguito da ‘stesso’ o ‘medesimo’ (cfr. ivi, I.177, p. 57).
- Il tentativo di andare verso una maggiore uniformità nell’uso del maiuscolo, per esempio, a inizio di parola, nelle denominazioni di cariche, enti, fatti o periodi storici, movimenti sociali e culturali, abitanti/etnie/popolazioni, religioni, terminologie geografiche e scientifiche ecc., tenendo conto del fatto che «la maiuscola facoltativa è oggi in generale regresso» (cfr. ivi, I.191-200, pp. 63-68, cit. p. 63).
- Nelle traslitterazioni da altri sistemi di scrittura, il ricorso alle norme ISO e in linea di massima ai criteri che consentono un’aderenza ottimale di tipo fonetico.
Quanto alle norme più strettamente bibliografiche, che riguardano per esempio i titoli di articoli e riviste o la composizione della singola voce, le difformità tra un marchio e l’altro possono raggiungere livelli elevatissimi, sebbene già oltre quarant’anni fa Umberto Eco, in Come si fa una tesi di laurea, avesse tentato di razionalizzare i criteri: nome puntato o meno, uso di corsivi o virgolettati, menzione della casa editrice ecc.
A questi rilievi si aggiunge l’omissione del nome del traduttore, frequente anche se non espressamente prescritta, quando nel testo si riprendono passi da versioni italiane di opere straniere. In tali casi andrebbe sempre adottata la doverosa prassi di citare l’autore o l’autrice della traduzione.
Una riforma razionale e condivisa delle norme redazionali, tesa all’introduzione di buone prassi, sarebbe un toccasana sia per chi lavora nella filiera, sia per chi legge.